Curiosità sul matrimonio capoverdiano

Curiosità sul matrimonio capoverdiano EnglishFrenchGermanItalianPortugueseRussianSpanish

Una volta qualcuno disse “non mi interessa conoscere i tuoi titoli di studio, ma sapere quanto hai viaggiato”. Vivere, infatti, in paesi con culture differenti dalla nostra è un’esperienza assai affascinante. Scoprire che ci sono popoli con abitudini, tradizioni e valori “diversi” apre magicamente la mente proiettandoci in dimensioni che forse nemmeno immaginiamo. Per chi ha sempre vissuto in Italia e in particolare nella città dove è nato (è il mio caso) le cose sono e devono essere fatte sempre in un certo modo. Ma così non è.  Per fortuna il mondo è variegato e dedicarsi alla scoperta degli usi e delle tradizioni altrui è interessante quanto utile: ci aiuta ad essere più aperti e flessibili liberandoci dagli schemi mentali che tante volte ossessionano la nostra vita.

L’invito al matrimonio. Nilda, una ragazza di Calheta, mi invitò al matrimonio di sua sorella. Tutto avvenne un pò per caso durante un pranzo, il medesimo giorno in cui ci siamo conosciute. A Maio, come in molte località di Capo Verde gli inviti non vengono recapitati in busta chiusa, previa certosina dovizia nella scelta della carta, della grafica, e quant’altro, ma comunicati oralmente. Ma l’apparente informalità non deve trarre in inganno: un invito a un matrimonio è sentito e ha carattere perentorio, efficace quanto una comunicazione in caserma, e non puoi esimerti, salvo causa forza maggiore.

matrimonio capoverdiano i preparativi per il banchetto

I preparativi

I preparativi.                                                                Una settimana prima della funzione religiosa, i festeggiamenti hanno già inizio. Le numerosissime famiglie degli sposi si uniscono e con loro gli amici, i vicini e in generale tutto il paese. Vengono macellati gli animali per il banchetto nuziale, fatta la “kotchida” che è la pratica di sminuzzare il mais all’interno di grandi vasi utilizzando pesanti bastoni. Questo aiutarsi reciprocamente prende il nome di “djunta mo” che tradotto in italiano significa “unire le mani” pratica alla base del vivere comunitario dei capoverdiani. La sera, si cena, si beve, si canta e si balla.

Il saluto alla madre

Il saluto alla madre

Il corteo

Il corteo

La cerimonia. 

Il giorno precedente il matrimonio religioso gli sposi hanno già formalizzato la loro unione dinanzi al notaio. Ed eccoci arrivati momento della chiesa. Un corteo lunghissimo accompagna la sposa vestita di bianco, decine di ragazze indossano meravigliosi abiti tutti uguali e del medesimo colore (il colore l’ha scelto la sposa) seguite da piccole damine e paggetti. Non credo di aver visto tanto sfarzo nemmeno nei film hollywoodiani. Tutti elegantissimi, ognuno a suo modo e “oltre” le proprie possibilità. La chiesa e’ addobbata con fiori di carta, sempre del medesimo colore e poi solenne la cerimonia procede per l’intera mattinata.

L'arrivo in chiesa

L’arrivo in chiesa

La fine della cerimonia

La fine della cerimonia

Il pranzo. 

Terminato il rito gli sposi e gli invitati si recano a casa del prete che ha celebrato le nozze. Le parrocchiane hanno preparato il pranzo per tutti.  Quindi ci si trasferisce dove c’è la festa vera e propria. La solennità e la sacralità del rito ora lasciano spazio ai ritmi sensuali, a volte sfrenati della musica capoverdiana, fiumi di vino, birra, pontche e grogue e poi il banchetto ricco dei prodotti della terra e dominato dallo “xerem cu bodi” un piatto legato solo alle grandi occasioni, il maschio della capra, solitamente risparmiato perché riproduttore. Nel bel mezzo della festa la sposa si allontana simulando un rapimento. Lo sposo parte alla sua ricerca per poi tornare dopo poco insieme a lei. E’ da quel momento in poi che la festa entra nel vivo, l’entusiasmo e la gioia si moltiplicano, e con loro anche l’alcol e il cibo così si continua fino al mattino.