L’Isola di Maio: storia di schiavi e di pirati

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Ci sono luoghi al mondo la cui storia, sebbene di realistica crudezza, sembra appartenere ad una dimensione fantastica: è il caso dell’isola di Maio, che per secoli offrì il suo scenario al traffico di schiavi, alle scorribande di pirati di mezzo mondo, e a funeste epidemie di colera. Una storia intensa narrata in un ampio documento a firma di Amilcar Cupertino Andrade, una cinquantina di pagine ormai ingiallite, dattiloscritte,un documento unico che mi viene offerto in visione con la solenne promessa di non farne copia. Lo sfoglio con delicatezza, ma nonostante la grande prudenza i fogli tenuti insieme da un improbabile rilegatura in plastica, sembrano cedere, corrosi dal tempo e dalla salsedine che nulla risparmia.
Il documento narra di quattro secoli di storia a far data dal 1460 fino all’anno 1885 e lo fa attraverso un lavoro di scrupolosa ricerca attingendo a fonti scritte e documentate e a numerose testimonianze tramandate oralmente

Primo maggio 1460
Maio è una minuscola isola nell’oceano Atlantico, situata a sud dell’arcipelago capoverdiano, a circa 500 km dalle coste del Senegal e a soli 23 km dall’isola di Santiago, oggi sede di Praia, citta capitale della Repubblica di Capo Verde. L’isola è pianeggiante e sabbiosa, quasi si trattasse di un pezzo di deserto sottratto alla terra ferma e il rilievo più alto è il monte Penoso, che si eleva a 436 m dal livello del mare.
La storia di questo piccolissimo angolo di mondo ebbe inizio nel 1460 quando l’italiano Antonio da Noli e il portoghese Diego Gomes (nell’ambito del piano di espansione marittima della corona del Portogallo), vi approdarono per la prima volta. Come testimoniano i documenti dell’epoca, qui non incontrarono nessun essere umano, nè segni che ne testimoniassero la presenza, ciò a significare che l’isola di Maio, così come l’intero arcipelago capoverdiano, fossero all’epoca completamente disabitati. Scoperta il giorno del primo maggio, l’isola fu chiamata “dellas Maynes” isola dei fiori, o anche in senso figurato “isola della primavera” essendo a quell’epoca tradizione proprio il primo maggio agghindare i bambini con corone di fiori e collocare dinanzi la porta delle abitazioni rami fioriti. Ma nonostante tanta poesia intrisa in quel nome, l’isola di Maio fu immediatamente scartata a causa dell’aridità delle sue terre e i coloni portoghesi preferirono la vicina Santiago, certi che avere maggiori possibilità economiche. Maio rimase dunque spopolata e fu inizialmente solo oggetto di regalo, all’uno o all’altro “signorotto”, così come era in uso a quell’epoca. La situazione mutò nel 1490 ,quando Rodrigo Afonso, capitano donatario, decise di esportare capi di bestiame sull’isola, principalmente capre, e di inauguare la coltivazione delle piante di cotone, ciò comportò l’arrivo dei primi schiavi . I primi insediamenti furono lungo le pendici e a valle del monte Penoso, per poi trasferirsi, in epoca successiva alla scoperta delle saline, nella città di Porto Inglês, oggi capoluogo dell’isola.

Gli schiavi
Fa sempre un certo effetto leggere di storie di schiavi, ci dà la dimensione di quanto crudele possa essere l’uomo e malvagia la sua natura. Sfogliando i documenti mi sono imbattuta in un lungo elenco di portoghesi cui corrisponde un certo numero di schiavi. L’elenco è organizzato come una tabella le cui voci sono: proprietario, residenza, numero di schiavi. I cognomi sono pressapoco gli stessi che oggi s’incontrano sull’isola di Maio: Da Silva, Tavares, De Pina, Monteiro, Ramos, Rosa … e sono all’origine di quel meticciato che caratterizza un pò tutta Capo Verde. Gli schiavi venivano importati dalla vicina Santiago, isola ormai al centro del traffico di esseri umani tra il continente africano e l’america del sud. Si trattava di uomini e di donne strappati ai loro affetti e alla loro terra e costretti a vivere in condizioni disumane. La tabella cui ho fatto riferimento è datata 1856 e il numero complessivo di schiavi che riferisce è di 406 unità. Questo numero diminuì drasticamente a 117 nel 1868, certamente non a causa di un ritrovato buonismo ma di un epidemia di colera cui fece seguito una terribile epidemia di vaiolo.
L’allevamento di capre si rivelò particolarmente proficuo, e nel 1504 si contarono oltre 4000 capi di bestiame. Questi come già detto venivano allevati dagli schiavi che si preoccupavano successivamente di salarne le carni o di essicarle, i prodotti ricavati, incluse le pelli erano esclusivamente riservati al mercato portoghese e quota parte alla Corona come forma di tributo. Stessa sorte tocco alle piantagioni di cotone e alla sua lavorazione, ma queste ebbero vita breve dal momento che Maio si rivelò scarsamente competitiva rispetto alla produzione di fibra tessile in altri paesi.

Le saline e i pirati
Ma il vero boom economico l’isola di Maio lo conobbe grazie alle saline. Per quanto strano possa sembrare non furono i portoghesi bensì gli inglesi ad approfittare di questa preziosissima risorsa. Le saline si trovano nelle adiacenze del porto di Vila do Maio e ricoprono una superfice rettangolare di oltre 3 km quadrati. Durante un determinato periodo dell’anno le saline vengono ricoperte dall’acqua del mare ciò è dovuto al realizzarsi di maree particolarmente intense. Fino al XIX secolo questo giorno di inondazione coincideva con il giorno di “apertura delle saline” che era considerato “di letizia o di disgrazia”: schiavi, uomini, donne e bambini provvisti di uno strumento cercavano di tracciare linee di confine all’interno della salina, combattendo l’uno contro l’altro, in un clima davvero infernale. Gli inglesi consideravano il lavoro delle saline estremamente dispendioso, e tentarono vanamente di ridurne la superfice per poterla meglio gestire, costruirono il forte Leopoldina, impiegarono i cani e armarono gli abitanti, ma tutto si rivelò inutile. Già dai primi anni del XVI sec., infatti, Capo Verde fu lo scenario privilegiato di molti attacchi pirata provenienti da ogni dove, inglesi, francesi, spagnoli, olandesi e fiamminghi e tutto questo aveva reso poco sicure le acque capoverdiane (ciò fu determinato dalla posizione strategica dell’arcipelago, punto di scalo obligato per tutti i commerci trans oceanici). L’isola di Maio non si sottrasse a questo ineluttabile destino e anche qui si registrarono molti attacchi e affondamenti di navi cariche del preziosissimo sale; così come si ha notizia delle tante scorribande pirata sulla terra ferma, di razzia di ogni cosa, furto di schiavi e tanta ferocia. Il sistema di protezione dell’isola fu sempre insignificante e inutile si rilevò lo strenuo tentativo di armare gli abitanti.
Durante il periodo aureo del sale Porto Ingles fu residenza di diplomatici, di agenzie internazionali e di importanti Commissioni, il che comprova l’importanza che a quell’epoca rivestiva l’isola. Successivamente, al volgere del termine del XIX sec. terminato il lavoro delle saline, l’assenza quasi totale di altre forme di economia, spinse i maiensi a trasferirsi altrove, fenomeno che continua ancor oggi.

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